L’ultimo bilancio dei due mandati amministrativi targati Bacci
Partiamo dai numeri
Il leitmotiv di questi ultimi 10 anni è stato l’equilibrio dei conti, e questo bilancio sembra garantirlo. D’altra parte il bilancio è il documento politico per eccellenza di un’amministrazione e Jesi in comune non fa parte della maggioranza. Quindi ha votato contro e potremmo chiuderla qua. Però, se avete voglia di approfondire, potete leggere qui di seguito.
Per prima cosa (“i numeri sono numeri”, come direbbe qualcuno) l’opera di risanamento del bilancio non comincia nel 2012, ma durante le vituperate “giunte precedenti”. Immagino più per necessità che per virtù, visto che la situazione finanziaria era complicata, anche perché erano stati introdotti vincoli stringenti. Rimossi con il superamento del patto di stabilità interno nel 2016. A questo punto l’indebitamento ha ripreso a crescere.
Questo è un frame della presentazione “ufficiale” che rappresenta l’andamento dell’indebitamento del Comune di Jesi dal 2000 ad oggi
I primi anni di questa amministrazione sono stati anche caratterizzati, come per gli altri Comuni, da una forte contrazione dei trasferimenti statali e regionali. A ciò si è fatto fronte mantenendo una tassazione elevata, dilazionando i tempi di restituzione dei mutui in essere e, fino al 2017, bloccando gli investimenti.
Altro fattore che ha permesso di ottenere questo equilibrio è il pensionamento di dipendenti e dirigenti, sostituiti solo in parte. Ma attenzione, in realtà i dipendenti sono stati esternalizzati e con essi la relativa spesa. Soprattutto verso l’ASP e verso Jesiservizi.. L’ASP, per dire, è arrivata a 69 dipendenti e ben 532 unità di personale esterno privato, che opera nei servizi e negli interventi gestiti dall’ASP attraverso gare d’appalto e convenzioni.
Anche una parte dei debiti è stata per così dire esternalizzata e giustamente non figura in bilancio. Sono gli “investimenti” intestati a Jesiservizi (Centro ambiente, illuminazione pubblica…), Fondazione Pergolesi Spontini (teatro, ex cascamificio…), ASP (Casa di riposo). Come pure non figurano in bilancio i c.d. project financing, per i quali tuttavia il Comune “ripaga” attraverso canoni sostanziosi i mutui contratti da terzi. Con questa formula in particolare è stata rinnovata la piscina comunale, ma è stata usata altresì per il campo da rugby.
Anche al netto di queste componenti il debito è oggi agli stessi livelli che aveva quando l’odierna amministrazione è entrata in carica nove anni fa. Il costo dell’indebitamento era sceso, e con esso gli investimenti, soprattutto tra il 2008 e il 2010, e poi durante tutto il primo mandato dell’era Bacci e buona parte del secondo, ma ora sta nuovamente crescendo.
Questo il ritaglio dei bilanci dei due mandati di questa amministrazione
Attualmente, pur essendo ancora lontano dai livelli raggiunti prima del patto di stabilità, il debito è risalito a quota 553,74 euro euro pro capite, complice anche la diminuzione della popolazione residente. Che è un altro dato preoccupante, determinato dal calo delle nascite associato alla progressiva tendenza all’azzeramento del saldo migratorio. Ciò è indice di un’attrattività declinante della città, di pari passo con le crisi che hanno caratterizzato l’economia locale, di cui sopporteremo l’onda lunga negli anni a venire. Fatta la tara del fattore Amazon del quale ci si ostina a non voler parlare.
Nel 2022 i debiti ammonteranno a 24 milioni e rotti, nel 2013 erano 23 e mezzo (nel 2012 più di 26). E come abbiamo appena visto ci sono altre poste passive che non sono parte integrante del debito rappresentato in bilancio, ma che appesantiscono la gestione dei prossimi amministratori, come i project financing (per consistenza soprattutto piscina e casa di riposo), le questioni lasciate sospese (per esempio il finanziamento per il museo Federico II) e le fideiussioni (per campo rugby e Zipa, soprattutto quest’ultima sembra particolarmente onerosa).
Dalla relazione dei revisori dei conti sul bilancio 2015
Metodo e merito
Al di là dei numeri e delle posizioni più strettamente politiche sono anche altri i motivi oggettivi per cui come gruppo consiliare non abbiamo votato questo bilancio.
Siamo rimasti senz’altro delusi per quel che riguarda il metodo. In questi anni abbiamo proposto l’adozione di buone prassi che avrebbero dovuto integrare il valore politico ed economico di questo documento, attraverso lo sviluppo di esperienze come il bilancio sociale e il bilancio partecipato. Si tratta di esperimenti che hanno funzionato altrove e che sono stati tentati agli inizi degli anni 2000 anche nella nostra città, sebbene in parte abbandonati già prima dell’avvento di questa amministrazione.
In generale apprezziamo invece gli investimenti. Non da oggi. A differenza della maggioranza che sostiene questa amministrazione, per la quale l’immobilismo mantenuto fino a poco tempo fa era giustificato sostenendo che qualsiasi spesa non urgente era sostanzialmente “irresponsabile”. D’altra parte va evidenziato sin d’ora che la spesa concentrata soprattutto in questi ultimi due o tre esercizi graverà soprattutto sui bilanci delle prossime amministrazioni, ingessandoli. Ma dal punto di vista della maggioranza consente di avere la botte piena – i bilanci in ordine – e la moglie ubriaca – opere da “vendere” in campagna elettorale.
Nello specifico, se la vocazione di questo Sindaco come liquidatore non si discute (non solo progetto Jesi, ma anche Arcafelice, l’Università e altro), ora anche l’elenco delle opere realizzate, o più spesso solo annunciate, si è allungato. Parliamo di due mandati, peraltro. Vediamo le principali.
Questa giunta è partita inaugurando la Salara (che era pronta) e il museo archeologico (che era da trasferire, accorpandolo alla pinacoteca). Ha poi messo mano, come è naturale, a progetti stilati e in parte finanziati dalla precedente amministrazione, alcuni buoni altri scellerati, ma lasciamo perdere. Piazza Colocci e piazza Pergolesi, in particolare, che assieme al Corso erano già progettate e le precedenti amministrazioni non avevano fatto in tempo ad avviare i lavori. Ma ridendo e scherzando sono passati altri 10 (dieci) anni
In questi 10 anni altre opere ereditate sono abortite o languono. Del Campus Boario è rimasta la pessima torre Erap, o meglio il suo scheletro perché lavori sono bloccati (così per il quartiere al danno si unisce la beffa). Le Carcerette dovevano essere finite da tempo e invece di recente sono state rifinanziate. Sant’Agostino è stato praticamente depennato. Il recupero di San Martino è stato rinviato a ripetizione. Il centro per l’autismo è stato aperto ma è già chiuso (non per colpa del Comune). Le ciclabili sono state realizzate a pezzi e bocconi, solo dove c’era spazio.
Salvo eccezioni determinate da contingenze (lasciti ed emergenze soprattutto), gli investimenti di questi due mandati si sono concentrati su due linee principali. La prima come abbiamo appena visto è il rinnovo della spina dei corsi (Corso Matteotti e via Pergolesi come unica via pedonale da Ciro a Piazza Federico II, non il centro storico nella sua interezza). La seconda è la messa a norma delle scuole, che è ottima cosa ma non è l’amministrazione comunale ad aver preso l’iniziativa. Lo Stato che vi ha destinato una mole particolarmente ingente di finanziamenti, in particolare a partire dal 2017. Le graduatorie dei progetti finanziati sono pertanto molto lunghe e scorrono velocemente. Non partecipare all’uso di questi fondi, anche impegnando cofinanziamenti sul bilancio dell’Ente, sarebbe un delitto. E in effetti ne stanno approfittando pressoché tutti i Comuni e le Province. Fermo restando che pure in questo caso non è andata sempre liscia, come dimostra la sorte della scuola Martiri, che era stata promessa la riapertura in pochi mesi sembra invece ancora di là da venire. Anche la costruzione della nuova Lorenzini da che doveva essere fatta in fretta (e per questo è stata pure scelta una localizzazione discutibile) alla fine ha attraversato tutta la legislatura.
Dove i fondi non c’erano le manutenzioni non ci sono state, come per la maggior parte degli impianti sportivi. Ci sarebbe la piscina, ma a prezzo di una privatizzazione che peserà economicamente e socialmente sulle prossime amministrazioni e ha scacciato diversi sport da Jesi. C’è poi il palascherma, già finanziato, progetto che doveva essere realizzato alla Sadam ed è stato catapultato al Cardinaletti. Qui avevamo auspicato il recupero della progettazione di una integrazione tra i vari impianti presenti, una vera cittadella dello sport. Ma non se ne farà nulla.
Altre opere ripetutamente annunciate in questi 10 anni hanno fatto passi avanti ma per ora sono sulla carta o iniziano soltanto adesso: Ponte San Carlo, Casa di riposo, lavori alla Borsellino, scuola dell’infanzia di via del Verziere, riapertura del teatro Moriconi, la nuova struttura disabili alle ex Giuseppine… l’elenco è praticamente sempre lo stesso. Riqualificazione del centro ambiente, centro alzheimer, pavimentazione di corso Matteotti e nuovi corpi illuminanti arriveranno all’inaugurazione giusto giusto per le nuove elezioni. Il centro per l’autismo invece, che era stato aperto, ha già fatto in tempo a chiudere
Al di là delle opere: altre questioni concrete
Anche in altre settori abbiamo qualche problema. Giusto un accenno.
Le iniziative culturali sembrano piuttosto estemporanee. Vengono accolte giustamente molte iniziative che vengono dalla società e dal territorio; e comportano poca o nessuna spesa per l’amministrazione, salvo alcuni casi privilegiati. Ma rispetto a ciò il compito del Comune sarebbe di promuovere e fare da collante perché la cultura rappresenta soprattutto un’armatura della società dal punto vista sociale ed economico. Nel frattempo le stagioni e le produzioni del Pergolesi hanno subito un ridimensionamento e la perdurante chiusura del Moriconi ha privato la città di tutta quell’attività minore ma non secondaria che l’aveva caratterizzata, cui non possono supplire sale private come il Piccolo o Cocuje. C’è il progetto al cascamificio (anche qui l’impasse è stato sbloccato da un finanziamento più capitato che cercato), ma il rischio è di ingessare la Fondazione sulle operazioni immobiliari e sulle lavorazioni anziché sul core business che rimane pur sempre la produzione culturale di (alta) qualità, come si addice ad un teatro di tradizione, che per questo riceve e può ricevere cospicui finanziamenti.
Per quanto riguarda il commercio basta vedere, a titolo di esempio, come sono stati abbandonati a sé stessi i tre mercati, che peraltro non esauriscono le politiche al riguardo. Gli ambulanti costretti a spostarsi di continuo tra una piazza e l’altra. Il mercato delle erbe langue sempre più, nonostante tutti abbiamo ripetutamente indicato la strada da percorrere, e non era difficile basta guardare altre città. Il mercato ortofrutticolo è l’ombra di ciò che è stato e probabilmente ormai senza prospettive.
Nei servizi sociali abbiamo un braccio operativo solido (l’ASP), nato per volere delle “giunte precedenti” e molto cresciuto in questi anni, capace di intercettare bisogni e aspettative, come dichiara il direttore. Che il braccio funzioni non dà però garanzia alcuna sul funzionamento della testa. All’erogatore dei servizi non dovrebbe essere delegato anche il governo politico del territorio, ma i Comuni sono preoccupati soprattutto di assestare il proprio esborso sullo storico consolidato. Dovrebbero invece di lavorare sulla valutazione dei bisogni oggettivi e sugli indicatori della qualità dei servizi, per definire obiettivi che altrimenti la tecnostruttura deve per forza definire, gestire e controllare da sé. Delle liste d’attesa, solo per fare un esempio, non è dato sapere, e lo stesso aumento dei beneficiati di per sé è un dato difficile da leggere perché frutto di politiche sostanzialmente responsive.
L’urbanistica di questi anni è stata caratterizzata soprattutto da interventi francobollo. Quando va bene volti a risintonizzare piani e progetti sulla grana fine del tessuto sociale e territoriale. In altri casi si è avuta l’impressione che si trattasse soprattutto di fare meglio i conti con interessi particolari che nella pianificazione erano stati, a torto o a ragione, sacrificati ed ora sono riemersi. In ogni caso si è trattato di prendere atto di quanto era avvenuto negli anni nonostante la pianificazione. Che è sostanzialmente effetto dell’assenza di un efficace governo del territorio.
La mancanza di un orizzonte condiviso su scala cittadina e territoriale è evidenziata pure dal sostanziale naufragio di Jesi in progress, al quale era stata delegata la definizione di traiettorie di sviluppo con modalità opinabili, concentrandosi ancora una volta soprattutto su frammenti di città, in particolare l’ex Sadam, e appiattendosi sul ruolo di un operatore privato in particolare.
Era questo qua per capirci (Febbraio 2017, praticamente il programma elettorale della seconda amministrazione “civica”)
https://www.youtube.com/watch?v=mgHwCOn8Tqs
Bisognerà ora rimboccarsi le maniche e capire che cosa salvare, per ridefinire un progetto di area vasta.
La discontinuità necessaria
A fronte di tutto ciò, in piena pandemia, lo spostamento della fontana in particolare (come quello di altri monumenti in verità) è stato usato come una specie di diversivo e di asso nella manica. Ma a ben guardare si è rivelato un clamoroso autogol dal punto di vista della democrazia, rompendo definitivamente il diaframma tra pervicacia e presunzione che ha caratterizzato il governo della città in questi anni. Sempre astraendo dalla circostanza che le risorse non sarebbero comunque andate buttate perché destinate ad opere meritorie, anche economicamente non è stato poi tanto un buon affare per la città, visto che si dovrebbe mettere in conto la spesa complessiva per risistemare due piazze, di cui una era stata rinnovata da poco con buona pace di chi l’aveva progettata e finanziata. E ciò a fronte non di un investimento in senso stretto, ma dello spostamento di un elemento architettonico con effetti ambivalenti tanto dal punto di vista estetico e funzionale che da quello storico e politico. Ma oggi l’amministrazione incassa, a pagare saranno i successori.
Questa vicenda rappresenta infine solo un episodio di una pratica più ampia di uso persuasivo e retorico del reale. Permette cioè di ripetere come un mantra che si è avuto “il coraggio di decidere”, accantonando l’urgenza di questioni sociali e territoriali che escludono della ricchezza socialmente prodotta una parte crescente della popolazione che non è rappresentata nel discorso pubblico né politicamente ed è marginalizzata nel mondo del lavoro, come vediamo anche in questi. L’ente locale, al contrario, dovrebbe essere agente consapevole di una trasformazione che sta avvenendo sulla pelle dei cittadini e che non solo non è governata ma forse neanche compresa appieno.
Questo il motivo per cui occorre una discontinuità che questo bilancio non rappresenta affatto. In primo luogo nel metodo, chiamando i cittadini a prendere parte ai processi decisionali che li riguardano, generando anzitutto coscienza ed auto-coscienza delle relazioni sociali e territoriali che costituiscono la città. Al contrario in questi anni i contributi non sono stati ascoltati oppure si è preteso di irreggimentarli dentro decisioni già prese, per “migliorare” ciò che è già deciso.
Poi nel merito, trasformando questo differente punto di vista in azioni concrete di governo della trasformazione, se necessario mediando o anche entrando in conflitto con gli interessi corporativi e particolaristici. A partire dalla scelta di nuovi luoghi e di nuovi segmenti della società su cui intervenire: periferie, disagio, lavoro, produzione culturale. Abbiamo assistito in questi anni ad un corto circuito tra le decisioni e gli interessi rappresentati dagli eletti e dai loro circoli; mentre la politica dovrebbe essere una pratica che emancipa i cittadini e capacità collettiva di produrre decisioni coerenti con bisogni diffusi anche quando non direttamente rappresentati e con valori e diritti sottostanti a ciò che viene erogato sotto forma di servizio o prestazione.
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Samuele Animali