QUALCHE PRECISAZIONE SU ARCAFELICE ORMAI SMANTELLATA
Qualche tempo fa, secondo maggioranza e amministrazione, le “perdite” di Arca felice ammontavano a un milione di euro. Adesso sono diventati due! Non avete anche voi l’impressione che si sparino numeri a capocchia?
E’ che le cose sono un po’ più complicate di quanto non ci venga detto e i numeri che tanto sembrano piacere a chi comanda sarebbe il caso quantomeno di leggerli bilanci alla mano.
A quanto è stato riferito in occasione di una Commissione consiliare dedicata alla liquidazione di Arcafelice, convocata su richiesta anche di Jesi in comune, l’amministrazione jesina dichiara di aver rinunciato a 879mila euro di crediti (mentre altri 30 mila euro sono stati recuperati in sede di liquidazione). E però si tratta di somme che il Comune-azienda doveva versare al Comune–Ente territoriale per affitti e servizi (la tenuta della contabilità e l’affitto dei terreni). Perché Arcafelice è totalmente di proprietà pubblica. Sono cioè debiti del Comune… verso sé stesso.
In realtà il Comune di Jesi ha conferito nel capitale sociale la somma di 115mila euro più le scorte (il bestiame e le attrezzature all’epoca già ammortizzate – non dimentichiamo che l’azienda comunale esisteva prima di Arcafelice). Non gli immobili, si badi bene.
A detta degli stessi uffici comunali il valore di questo conferimento in natura era stato contabilmente sopravvalutato (per evidenti motivi: si “alleggerisce” il bilancio comunale). Di qui la necessità di diluire le “perdite” dal 2012 in poi, quando si è deciso di liquidare, ripristinando un valore giudicato più vicino a quello reale.
Arcafelice aveva sempre avuto problemi di liquidità, ma fino alla decisione di smantellare tutto le perdite derivanti dalla gestione corrente erano relativamente contenute. Se Arcafelice fosse continuata sarebbe stato necessario alleggerire ulteriormente l’organizzazione; ma contabilmente le perdite sono state accumulate nella fase in cui l’azienda era già in liquidazione. Basta guardare i risultati di esercizio.
Infine, come risultato della liquidazione, il Comune riserva per sé 74 mila euro. Non molti, ma evidentemente il presunto fallimento non era poi così drammatico.
Nel sito del Comune, questo si riporta come “risultato di esercizio”: 2008 : -6.750,00; 2009 : -1.882,0; 2010 : +2.668,00; 2011: +484,00; 2012: -23.774,00; 2013: -330.359,00; 2014: -275.910,00; 2015: -423.286,00
Ricordiamo che tra il 2008 e i 2009 viene sistemata e resa redditizia la gestione del negozio, fermo restando che ci sono alcune diseconomie la più evidente delle quali è la duplicazione delle figure apicali che per una struttura del personale minimale come è quella di Arcafelice rappresenta un peso non indifferente (forse fino a 30mila euro l’anno che si sarebbero potuti risparmiare).
I debiti accumulati sono essenzialmente verso il Comune, perché Arcafelice deve corrispondere un compenso per i servizi che il Comune assicura all’azienda, in primis la tenuta della contabilità attraverso proprio personale, cui si è già accennato sopra. Ma le perdite che caratterizzano la gestione dal 2012 in poi derivano essenzialmente da due fattori: la svalutazione dei cespiti sopravvalutati e il disimpegno programmato da parte del Comune, con il progressivo smantellamento dell’azienda, che tra l’altro viene costretta a rinunciare ai contratti in essere sui terreni di proprietà di progetto Jesi, a partire da quelli migliori, in modo da agevolarne la vendita.
La congiuntura non era e non è particolarmente favorevole, con il consumo di carne generalmente in discesa; però la carne biologica sta avendo un certo successo e quella di Arcafelice aveva l’ulteriore vantaggio di essere a Km-zero per gli jesini. In soldoni anziché tentare di aumentare l’efficienza per ridurre al minimo i costi economici di un’esperienza comunque importante (lo vediamo tra un attimo) si è scelto di chiudere.
Perché? Perché questo ha permesso di monetizzare gli immobili di proprietà comunale, in particolare quelli conferiti a Progetto Jesi che, senza la rinuncia ai contratti di affitto di Arcafelice non sarebbe riuscito a vendere i terreni che il Comune di Jesi aveva ereditato dalle vecchie Opere pie. Terreni che rappresentavano la parte più appetibile dei beni di cui Progetto Jesi era entrata in possesso a seguito dell’operazione di cartolarizzazione portata a termine qualche anno fa. Questa operazione ha fatto confluire nelle casse di quest’altra società comunale un importo di oltre 5 milioni euro. Somme essenziali per poter portare a termine l’operazione Progetto Jesi.
Vale la pena di ricordare che fu la giunta Belcecchi a costituire Progetto Jesi e a dare l’incarico a Bacci di capitanarla, in forza di un curriculum già importante quanto ad incarichi conferiti dagli Enti pubblici guidati dal centrosinistra. Prima che quest’ultimo diventasse Sindaco defenestrando proprio i suoi vecchi sponsor. E’ evidente perché Progetto Jesi, anche in questo senso, viene prima di altre preoccupazioni.
Questa Giunta usa spesso gli argomenti economici per annichilire ogni altra considerazione. Abbiamo dunque visto che, anche dal punto di vista economico e contabile, alcuni discorsi che hanno caratterizzato l’opera di rottamazione di Arcafelice condotta dal 2012 in poi sono quantomeno da rivisitare.
La seconda parte della riflessione su Arcafelice sarà dunque più breve, ma non per questo di scarsa importanza.
I valori principali che aveva in pancia Arcafelice non sono stati soppesati con le questioni di carattere economico che asseritamente ne consigliavano la liquidazione, ma totalmente ignorati o travisati, ed hanno a che fare con la promozione della filiera del biologico, della carne marchigiana, di un’alimentazione sana e corretta specie tra i bambini. Tutti valori che sono difficilmente perseguibili se non vengono promessi anche attraverso l’azione del pubblico. Non necessariamente attraverso la proprietà di un’azienda agricola, ma indubbiamente questo c’era. Valori che quantomeno andrebbero messi in rapporto coi risultati di esercizio, quand’anche fossero passivi, depurati dalle questioni strettamente contabili.
Non è dimostrabile che un’azienda di allevamento non possa essere pubblica, come hanno detto e ripetuto i suoi detrattori, perché deve “sottostare a costi (personale, amministrazione, ecc.) necessariamente maggiori di un’azienda privata gestita a carattere familiare, come lo è la quasi totalità degli allevamenti marchigiani” (quello virgolettato è un il contenuto di un comunicato stampa della maggioranza consiliare, uno dei tanti).
Se i risultati di esercizio prima della liquidazione non erano così disastrosi, nonostante qualche zavorra che caratterizzava la gestione, si potrebbe anche considerare che lo svolgimento di una funzione pubblica non deve necessariamente sottostare al vincolo di un bilancio in pari.
Non è vero che prezzi fossero “non competitivi” (altro argomento spesso portato dai liquidatori politici di Arcafelice). La carne bio, quella “vera”, allevata secondo determinati criteri, ha un costo molto elevato e la carne bio di Arcafelice era decisamente conveniente confrontandola con quella di altre aziende in grado di assicurare una qualità comparabile (cioè veri allevamenti biologici locali che producono carne da bestiame di razza marchigiana e non allevamenti industriali col marchio bio). Era uno dei motivi per cui i gruppi di acquisto solidale (parliamo di decine di famiglie organizzate per controllare e rifornirsi comunitariamente di prodotti di qualità a km zero e a prezzi competitivi) si servivano presso il negozio di Jesi.
Non è vero poi che la carne biologica alle mense scolastiche continua ad essere fornita con le stesse modalità e la stessa qualità che veniva assicurata da Arcafelice a prezzi più convenienti. In primo luogo, un conto è far vedere e controllare ai bambini ed alla cittadinanza tutta la filiera di produzione, altra cosa è appoggiarsi ad un grosso gruppo che fa arrivare la carne presso le mense da chissà dove, anche se si tratta di carne certificata biologica. In secondo luogo il mero risparmio sul prezzo tende ad andare inevitabilmente a scapito della qualità e della certezza circa le caratteristiche biologiche del prodotto (spesso si parla della certificazione “bovinmarche” che è altra cosa). In terzo luogo risulta che nel capitolato della attuali forniture alle mense scolastiche si parla del 60% di carne bio e non del totale.
Fatto sta che abbiamo perso qualcosa che tutti ci invidiavano, distruggendo un valore sedimentato nel tempo, che forse avrebbe potuto essere salvato quantomeno privatizzando l’azienda senza smantellarla con il più redditizio “spezzatino”.
Un ultimo accenno va all’esperienza della fattoria didattica. Certamente si può fare anche altrove, ma creare delle sinergie con un’azienda che appartiene alla comunità ha un valore aggiunto che riposa sulla possibilità di promuovere e sviluppare un modello e non una singola impresa, e concede possibilità operative che difficilmente possono essere ripristinate altrove grazie alla buona volontà dei privati.
Certamente anche questa ricostruzione potrebbe peccare di parzialità e potrebbe contenere degli errori (che chi legge è chiamato a correggere! Grazie). Ma, carte e memoria alla mano, il tutto si potrebbe riassumere così: Progetto Jesi vince Arca felice perde. Scelta legittima. Ma la storia va raccontata intera. Altrimenti cos’è?
Qualche riferimento:
Aprile 2017 Jesiamo dice che Arcafelice “ha rimesso 1 milione di euro” https://www.viverejesi.it/2017/04/13/jesiamo-la-favola-di-arca-felice/635089/
Qui, Luglio 2018, secondo Jesiamo sono stati destinati “circa 400.000 euro a copertura della chiusura della Soc. Arca Felice”. https://www.leggopassword.it/jesiamo-jesinsieme-regalo-estivo-dalla-vecchia-amministrazione-pd-400mila-euro-per-chiudere-arca-felice/
Oggi, sempre secondo Jesiamo, Arcafelice “ha portato ad una perdita di circa 2 milioni di euro di soldi pubblici“ http://www.anconatoday.it/politica/arca-felice-jesiamo-polemica.html
http://www.centropagina.it/jesi/jesi-jesiamo-chiusura-arcafelice-animali-replica/
https://www.leggopassword.it/societa-arcafelice-disposte-le-modalita-di-vendita/ Va precisato che, pur essendosi susseguite discipline assai stringenti circa l’obbligo per enti locali e regioni di vendere le partecipazioni non necessarie alle attività istituzionali, non è mai stato fissato un termine perentorio entro il quale portare a compimento la dismissione delle partecipazioni. Tra l’altro in questo caso si tratta di gestione (necessaria) di beni di proprietà pubblica.
https://www.viverejesi.it/2017/04/13/jesi-in-comune-arcafelice-jesi-una-citt-in-liquidazione/635096/
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Samuele Animali