Non siamo brutti! Non siamo sporchi! Non siamo cattivi!

20 Marzo 2017 / By Jesi In Comune

Non siamo brutti! Non siamo sporchi! Non siamo cattivi!

Premesso che scrivo in qualità di abitante del quartiere San Giuseppe (senza implicazioni professionali, politiche o altro) e che ci vivo da ormai 50 anni, dunque lo conosco abbastanza bene, sia per personale inclinazione alla curiosità (per la gente, le attività, la “vita” del quartiere e la sua evoluzione nel tempo), sia perché ho preso parte a diverse realtà associative locali (sportive, culturali, sociali, ricreative, ecc.); ecco, premesso questo, mi sembra che sia stia delineando proprio in questi giorni un’occasione rispetto alla quale è davvero necessario “dire qualcosa”.

Che ormai da tempo (troppo) il quartiere di San Giuseppe venga letto, descritto e soprattutto interpretato come la parte della città “brutta, sporca e cattiva” è cosa nota e sulla quale non sto a dilungarmi. Al riguardo ho solo due cose da dire: a) contesto quest’interpretazione sbrigativa e fuorviante, giacché non risponde al vero; b) ribadisco (come già fatto in altre sedi) che equiparare la presenza di comunità di immigrati a concetti quali problematicità, degrado, delinquenza, ecc. è un’enorme stupidaggine. Ovviamente alcuni problemi esistono, ma si possono risolvere, se affrontati con razionalità e competenza. In ogni caso, tuttavia, è certo che la presenza di comunità di stranieri a Jesi – al netto della differenza tra le difficoltà dell’inclusione e le opportunità di una società multiculturale – è una ricchezza.

Ma questa deriva interpretativa di segno negativo ogni tanto produce degli effetti che si fa fatica a trascurare. Come nel caso delle iniziative (per lo meno alcune) poste in essere dall’Assessorato alla Cultura in occasione della “settimana contro il razzismo” (e del progetto Chromaesis al cui interno tali iniziative ricadono).

Chromaesis – va precisato – è un progetto che ha come finalità per l’appunto l’integrazione (nel quartiere San Giuseppe) soprattutto attraverso attività artistiche. E fin qui bene, potremmo dire. Però nel momento in cui si va a vedere in che consiste – o meglio, quale “metodo” stia alla base del progetto – ci si imbatte in qualcosa che non convince.

Perché se è vero che ci sono azioni e iniziative che puntano a coinvolgere (ad esempio) i bambini e i ragazzi del quartiere (dunque anche bambini e ragazzi di famiglie immigrate) ci si mantiene però dalla parti del “ti dico io cosa dobbiamo fare, perché io lo so e tu no”.

Ossia alla permanenza di un pregiudizio duro a morire: che il processo di integrazione sia eterodiretto, o per meglio dire unidirezionale: c’è uno che sa cosa si deve fare – e lo dice – e un altro che ascolta ed esegue.

Ma non è così che funziona, che ci piaccia o no. E se diamo uno sguardo alle esperienze migliori di altre città italiane ed europee ce ne renderemmo conto. Se si vuol provare a portare avanti un processo di integrazione serio e che produca effetti reali e duraturi, è necessario che tutti gli “attori” in gioco siano coinvolti. E alla pari (per lo meno nel momento del confronto). Allora, per esempio, magari accadeva che il murale all’inizio di via San Giuseppe la gente del posto lo disegnava con un’immagine diversa, o in un luogo diverso. O magari non uno grande, ma tanti piccoli… Chissà?

Però su questa strada della “demonizzazione” (da un lato) e della “costrizione ad uno stato di minorità” (dall’altro) del quartiere, si sta procedendo oltre, a quanto pare. Perché leggo che tra le iniziative che tra pochi giorni avranno luogo, ce ne sono due che prevedono la creazione di un supereroe del quartiere ed un rito di purificazione collettivo per esorcizzare il male che aleggerebbe sul quartiere.

Se si vuol provare a portare avanti un processo di integrazione serio e che produca effetti reali e duraturi, è necessario che tutti gli “attori” in gioco siano coinvolti. E alla pari!

Doriano Pela, residente del quartiere San Giuseppe

Ora, io penso (voglio pensare) che chi ha ideato queste iniziative l’abbia fatto animato da buone intenzioni, però nel rivolgermi a costoro devo dire questo: “cari signori – o signore – il quartiere in cui io vivo e mi muovo tutti i giorni non ha bisogno di supereroi, né di riti di purificazione. Perché per quanto si continui a pensare che qui siamo tutti brutti, sporchi e cattivi, non è così. Siamo esattamente come voi che vivete in altre zone della città, con gli stessi desideri e le stesse paure, le stesse volontà e le stesse idiosincrasie. San Giuseppe – come il resto della città – ha bisogno di gente responsabile, e cioè che sappia coniugare il proprio desiderio di bene e di felicità con quello degli altri. Solo che far crescere il senso di responsabilità, di appartenenza a una stessa “comunità di cittadini” con gli stessi diritti e gli stessi doveri, non è facile.

E’ un processo lungo e complicato, per il quale non serve un supereroe che viene da chissà quale pianeta a salvarci, ma tanti eroi quotidiani per quanti siamo noi cittadini. E non servono riti purificatori, perché nessuno di noi sarà mai completamente puro (né completamente sporco e dannato). Serve invece una pratica di quotidiane vicinanze fatta di tanti piccoli gesti che proprio perché sono tali restano per lo più invisibili e sconosciuti, ma sono in realtà le vere espressioni artistiche che ciascuno di noi può mettere in campo affinché la propria vita – e dunque quella del luogo in cui abita – sia costantemente un’opera d’arte”.

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